L’esperienza della fame

Se dovessimo pensare alla società in cui viviamo, ai supermercati pieni di leccornie gustose, ai programmi televisivi che ci propongono ricette, alle riviste specializzate sul modo di alimentarsi, quale significato emotivo attribuiremmo al cibo, al cibarsi e all’ esperienza della fame ai giorni nostri?

ALIMENTARSI NEI NOSTRI TEMPI

Un atto che si compie più volte durante l’arco della giornata, spesso routinario e scontato, compiuto distrattamente, in concomitanza con altre azioni, di fronte ad un giornale aperto o ad una televisione accesa.  Su questi due temi ci giungono sempre più spesso consigli, tabelle, ricette che, sempre più uguali a se stesse, spersonalizzano, perché poco sentite, al punto da sembrare cliché che si susseguono sempre uguali, così come avviene sempre più spesso nella nostra alimentazione. Con esse giornali, riviste, programmi televisivi, tutto quanto incentrato sul CIBO.

Questo bombardamento esteriore di immagini ci rende sordi, fino a quando ci accorgiamo d’improvviso che qualcosa non funziona. Il meccanismo si inceppa e ci troviamo a dovere fare i conti con noi stessi.  Al NOSTRO rapporto col Cibo. Distratto, veloce, compulsivo, sociale, annoiato, gioioso, spensierato, dipendente e molto altro. Avvicinarsi al significato profondo del cibo e del cibarsi, evidenziando una lettura più intima e personale, permette di vivere la sfera alimentare in modo sano, maturo e ricco di piacere autentico.

CHE COS’È IL CIBO?

Sicuramente il cibo è una fonte che realizza amore, solidarietà, amicizia, ma anche tematiche simboliche e religiose. Il cibo è sorgente rassicurante che permette all’uomo la sopravvivenza e la comunione con le energie vitali del mondo. Ogni alimento, oltre al valore nutrizionale, ha anche un valore simbolico, psicologico, spirituale e unico per ogni cultura.

Il rapporto con il cibo ha anche origini lontane nel tempo e nella nostra storia personale. Per il lattante il cibo non è distinto dal proprio essere, dalla madre e dall’ambiente. il mondo degli affetti, delle interazioni, delle relazioni, delle comunicazioni si forma all’interno di uno spazio psichico che inizialmente appartiene in gran parte al cibo e all’atto del nutrirsi. Per l’infante la prima percezione di una realtà esterna è in relazione alla “mamma-cibo”, archetipo del mondo, dei bisogni, dei desideri. La valenza psichica dell’ intera realtà nella prima fase evolutiva appartiene a questo archetipo, che nel tempo ha ceduto spazi sempre più ampi ad altri elementi del vissuto e dell’esperienza. Il cibo viene utilizzato, fin dall’infanzia, non solo come fonte di gratificazione ma anche come conforto, sostituto dell’affetto, arma di ricatto, di offesa, e può  far insorgere un rapporto distorto con il cibo e con l’atto dell’alimentarsi in generale. In questo senso, alcune abitudini assunte precocemente possono diventare particolarmente deleterie e difficili da sradicare nella crescita di una persona. Anche lo sviluppo di troppe regole e ricatti sul cibarsi e  sugli alimenti hanno un peso fondamentale sulla crescita.

Nell’adulto la relazione col cibo diventa più evidente se compaiono dei disturbi nella relazione col cibo; possono ad esempio essere ricondotti a comportamenti regressivi che vedono il cibo riconquistare spazi dello psichismo infantile. Non soltanto il cibo rappresenta la prima esperienza di una realtà esterna, di un bisogno vitale dal quale si dipende, ma rappresenta anche l’elemento che ha dato l’avvio alla formazione dell’IO.

CIBO,CULTURA ED EMOZIONI

Un punto fondamentale sono le emozioni che profondamente il cibo ci rievoca. Le emozioni fanno parte delle esperienze umane e, per loro natura, non hanno nulla di negativo. Quando però influenzano il comportamento alimentare così tanto da risultare impossibili da ‘gestire’ può accadere che influenzino negativamente il regime dietetico nell’ assunzione del cibo: sia a livello di quantità che di qualità. Si parla quindi di una particolare esperienza della fame: quella patologica.

Questo, tuttavia, non significa che alla base di ogni forma di disordine alimentare ci siano solo fattori emotivi, bensì anche altre variabili quali, l’ereditarietà, la costituzione, la quantità di attività fisica.
Esistono anche fattori culturali e sociali che possono influire sul rapporto con la sfera alimentare. Pensiamo infatti a quelle popolazioni che sono in guerra e che considerano il cibo un bene essenziale ed una ricchezza necessaria per la sopravvivenza. La nostra società sembra essersi dimenticata di questo valore, ed il privilegio di potersi nutrire con quello che ci piace ringraziando ogni giorno per l’ abbondanza che ci circonda; al giorno d’oggi la tendenza è quella di volersi adeguare a tutti i costi a modelli stereotipati di immagini maschili e femminili socialmente approvate che identificano l’essere magri come un valore necessario alla felicità. Ciò può indurre a seguire regimi alimentari poco salutari. Le diete squilibrate, a loro volta, espongono a maggiori rischi di turbamenti emotivi che, di conseguenza, accentuano l’intensità e la frequenza degli episodi di fame.

L’esperienza della fame, o la mancanza di fame, possono essere scatenate da una o più emozioni. Può inoltre protrarsi per un periodo di tempo di lunghezza variabile, da alcune ore, a mesi dopo l’insorgere dello stato emozionale. Può suscitare la voglia di un cibo specifico, di un alimento di una determinata categoria, oppure il desiderio generico dell’atto di cibarsi in sé, oppure di non cibarsi affatto.

Esiste un rapporto circolare tra emozioni e abitudini alimentari: determinati vissuti emotivi possono indurre il desiderio di alcuni cibi e questi, a loro volta, sono in grado di influire, almeno in parte, sullo stato emotivo. Per esempio alcuni studi mostrano che gli episodi di”fame emotiva” portano più spesso all’assunzione di cibi contenenti saccarosio, i carboidrati in genere(pasta, pizza, pane, dolci, biscotti). Un’altra ricerca ha rilevato che la gioia induce a consumare cioccolato e a valutarlo come particolarmente gustoso e stimolante, mentre la tristezza sembra diminuire l’appetito per esso. Sembra quindi che la qualità delle emozioni sia in grado di influenzare la motivazione a mangiare e le risposte affettive al cibo.
Anche le emozioni della vita quotidiana, del presente, sono in grado di influire ampiamente sulla qualità e sulla quantità di cibo assunto, in qualsiasi fase e contesto di vita.

I disturbi alimentari sono causati sul piano psichico da uno stato di rottura della fiducia nelle rappresentazioni legate all’atto del mangiare e cioè alle connessioni nei confronti delle relazioni familiari e del gruppo culturale, rottura che genera insoddisfazione e di conseguenza stati di ansia e relativo massiccio stress psicofisico.

Con questa “rottura” la persona decide ciò che può “far entrare dentro sé” e cosa no ed inoltre, in forma ancor più importante, se “esistere” o cessare definitivamente di farlo con la morte simbolica da fame negata. L’esperienza del cibarsi e della fame dal sollievo di poter sopravvivere alle ostilità del mondo, ad un momento buio e difficile che realizza depressione, angoscia e il senso del prossimo morire.

Quale l’esperienza della fame allora? quella fame primordiale che portò l’uomo ad aggredire e mangiare la natura intorno a sé, sentita simbolicamente come padre e madre.

Articolo per il convegno sul cibo promosso dal sapore del sapere 20/01/2006